Chissà a quanti capita di ritrovarsi nella situazione in cui a volte mi trovo io?
Frequenti delle persone con cui condividi punti di vista, pensieri, spesso anche scelte importanti.
Ci passi del tempo, ci vai a cena, a volte vai tu a casa loro altre volte vengono loro da te.
Serate tranquille, pure piacevoli.
Poi capita che qualcuno di questi amici si ritrova a seguire un percorso che lo porta ad una poltrona, una seggioletta, uno sgabello che comporta qualche piccolo riconoscimento.
Una seggioletta che comprende un temporaneo, quasi impercettibile, micro innalzamento sociale.
Allora esce la visione di parte. La visione tribale.
Quella di chi è seduto in una curva dello stadio. Sempre la stessa storia.
Tu che sinceramente ritieni di stare nel mezzo, vieni visto come fossi seduto dall’altra parte della platea.
Anche se non hai fatto niente per far passare questa idea, se non ti schieri apertamente dalla parte della persona sulla seggioletta, diventi automaticamente uno che sta contro.
Allora tutti quelli seduti per convenienza, per convinzione, per piacere, per debòscia, da quella parte del pubblico, cominciano ad allontanarsi.
Fanno gruppo e tu in quella squadra non sei ben accetto.
Loro e tutti quelli che indossano la stessa maglia, se ti incontrano per strada fanno finta di non vederti. Magari manco fanno finta: non ti vedono proprio.
Per “loro” intendo quelli che leccano lo stesso sedere insomma.
All’età che ho raggiunto dovrei averci fatto l’abitudine ma non è così.
Ci rimango male.
Poi mi riprendo subito eh, ma rendersi conto che tutti sono, anzi, siamo, a rischio di diventare dei servetti sorridenti, ma per niente utili, mi intristisce un po’.
Lo scrivo perché così almeno la fisso questa sensazione, che è tornata ieri quando ho incontrato uno di questi soggetti.
Scrivendo questa riflessione non penso a nessuna persona in particolare, ma a un tipo di individui che sempre più spesso si incontrano.
Beh è un peccato, ma il mondo è pieno anche di questi soggetti.
Me ne farò una ragione, ma per ora mi viene ancora da rifletterci.
Che peccato.
Un comportamento, una corsa, la loro, che potrei chiamare “A Puzzafiàto”