LA PAURA DELLE PAROLE

Leggo con sempre maggiore frequenza, di persone che si lamentano per l’utilizzo di parole straniere nei discorsi in lingua italiana.

Perché dobbiamo dire “week end” se abbiamo in italiano un più comprensibile “fine settimana” che significa lo stesso e poi è pure roba nostra?

Che bisogno abbiamo noi che viviamo immersi nella lingua di Dante di andare a prendere termini stranieri, per la maggior parte di origine anglosassone, per spiegare concetti che possiamo benissimo raccontare in italiano?

E tanta gente si accoda a questo pensiero. Vedo che tanti aggiungono “like” sui social (mi piace) o sui maggiori sistemi di comunicazione.

A me non mi viene da accodarmi a questo pensiero.

Forse perché mi piace dire “a me mi“, o forse perché a volte mi pare che faccio prima ad infilare nella frase un termine straniero che aiuta la comprensione di chi legge o ascolta. O forse anche perché quando sento uno straniero che parlando nella sua lingua arricchisce il discorso con termini italiani, mi fa piacere.

Boh.

Io apprezzo la musicalità e il ritmo dell’italiano, ma insisto a considerare la lingua, qualsiasi lingua, come uno strumento per comunicare.

E mettere recinti, paletti, confini alla comunicazione mi pare inutile oltre che spesso pure dannoso.

Quindi per quanto mi riguarda, a me sta bene che chiunque usi i termini che si sente di utilizzare.

Se riesce ad esprimersi meglio infilando ogni tanto un “Ok” al posto di “Va bene“, sarà tollerato come chi chiude un discorso con “Amen“.

FEAR OF WORDS

I read with increasing frequency, of people who complain about the use of foreign words in speeches in Italian.

Why do we have to say ” weekend ” if we have in Italian a more understandable ” Fine settimana” which means the same and then it is also our stuff?

What need do we who live immersed in Dante ‘s language have to go and take foreign terms, for the most part of Anglo-Saxon origin, to explain concepts that we can very well tell in Italian?

And many people follow this thought. I see that many add ” like ” on social networks ( Mi piace ) or on major communication systems.

I do not feel like following this thought.

Maybe because I like to say ” a me mi “, or maybe because sometimes it seems to me that I first insert a foreign term into the sentence that helps the understanding of those who read or listen. Or maybe also because when I hear a foreigner who, speaking in his language, enriches the speech with Italian terms, I am pleased.

Boh.

I appreciate the musicality and rhythm of Italian, but I insist on considering the language, any language, as a tool for communicating.

And putting fences, poles, borders to communication seems useless as well as often harmful.

So as far as I’m concerned, I’m okay with anyone using the terms they feel like using.

If he manages to express himself better by putting an “ Ok ” in place of “ Va bene ” every now and then, he will be tolerated as someone who ends a speech with “ Amen “.

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