IL TEATRO GIAPPONESE

Nella mia fortunata carriera di tecnico teatrale, ho avuto modo di incontrare anche un gruppo giapponese che si chiamava Byakko Sha.

Facevano un teatro un po’ bizzarro, almeno per quel periodo.

Internet mi dice che forse poteva essere l’anno 1981.

Il luogo era sicuramente Spoleto durante il Festival dei Due Mondi e il teatro era il Nuovo, quello che adesso, da qualche anno, è stato intitolato a Gian Carlo Menotti.

Il nome della compagnia, Byakko Sha appunto, dovrebbe significare “Tigre Bianca”.

Molti attori, danzatori, tecnici, seguiti sempre da tanti fotografi, anche occidentali che indossavano tutti, i fotografi, un sorrisetto di quelli che significano: “…ah ma tu non li conosci questi. Aspetta e vedrai di che cosa sono capaci”.

Non ci volle molto a capirlo.

Tanto per cominciare venivano in teatro la mattina alle 8, andavano in camerino, buttavano i costumi di altri spettacoli che trovavano lì appesi, poi si spogliavano completamente nudi e si riempivano di una polvere bianca per tutto il corpo, forse borotalco e cominciavano a girare per il palcoscenico così.

Si arrampicavano sulle scale, andavano a spostare quinte, fondali, correvano, urlavano, fino a quando qualcuno ha fatto notare all’interprete e al responsabile del gruppo, che il teatro era a disposizione anche di altri spettacoli del Festival e loro non potevano fare come se fosse tutto per loro.

Capito.

Allora hanno indossato una maschera da sub ognuno, posizionandola non sul viso, ma sulla zona inguinale, per coprire il pisello per gli uomini e il resto per le ragazze e così, tutti impiastrati di polvere bianca ormai scolata, nudi, con la maschera da sub appannata, se ne sono andati in giro per il Corso Mazzini di Spoleto, fra la gente comune.

Sono anche andati al bar per assaggiare l’espresso italiano, visto che c’erano, salvo poi rimanere stupiti quando il barista chiedeva di essere pagato.

Era evidente che non avevano con loro soldi.

No tasche, no soldi, no portafogli… no.

E a quel punto qualcuno ce li riportava, attori e attrici, in teatro. E l’amministrazione del Festival pagava i buffi.

A volte erano i Carabinieri che ce li riconsegnavano spiegandoci, a noi, che in Italia non è consentito girare nudi per la strada.

Un giorno durante il montaggio di un altro spettacolo, con loro sempre in giro, qualcuno pensò di farli andare in sala per levarli di mezzo.

Chiudere il sipario, così loro avrebbero potuto fare quello che volevano, mentre in palcoscenico noi tecnici potevamo continuare a lavorare.

E quello fecero. Andarono tutti in sala.

Insospettiti dal troppo silenzio, dopo un po’, abbiamo scostato il sipario per scoprire che in platea, i palchi, le lampade… tutto, era stato agghindato di lenzuoli bianchi dove con lo spray nero e rosso, loro avevano scritto un sacco di roba in giapponese.

Il problema è che lo spray era passato attraverso i lenzuoli e inzaccherato tutti gli stucchi ottocenteschi della bella sala del teatro.

Uno sfacelo.

Lunghe giornate di lavoro per cercare di sistemare.

Fra tutti questi bizzarri personaggi ce n’era uno che passava gran parte del suo tempo nel tentativo di ipnotizzare un pollo.

Pollo proprio pollo. Una gallina.

Stavano lì le ore a fissarsi. Lui e il pennuto.

Poi il pollo si distraeva e lui lo riacchiappava e la giornata andava avanti così: Palcoscenico del Teatro Nuovo, un attore giapponese nudo, pieno di polvere bianca sul corpo, con una maschera da sub a coprire il pisello, che cerca di ipnotizzare un pollo. Intorno i tecnici che allestiscono la scena dell’opera programmata per la sera.

Vai a capire che quello del pollo era il numero centrale di tutto lo spettacolo.

Infatti succedeva che il regista giapponese aveva previsto che l’ipnotizzatore, vestito solo di un grande mantello colorato, si sarebbe dovuto avvicinare al pubblico tenendo in braccio il pennuto che si capisce non sembrava essere d’accordo.

Comunque arrivato in ribalta dopo venti minuti (venti minuti per fare dieci metri) di incomprensibile lentezza dove non succedeva nulla, l’attore si avventurava poi sulla passerella fatta costruire per prolungare il palcoscenico fino a quasi mezza platea.

Arrivato lì, sceglieva la signora più ingioiellata e le tirava il pollastro sulla capoccia.

Si capisce che sia la signora, che quelle vicino e anche gli accompagnatori, schizzavano tutti in piedi urlando e minacciando querele.

I giapponesi faticavano a capire questa reazione, allora l’attore/ipnotizzatore è stato convocato nell’ufficio del direttore tecnico, con l’interprete.

Gli è stato spiegato, all’attore, che non si può lanciare un pollo in platea. Nessun animale, non solo il pollo.

Non si può.

Il Festival ha un target di spettatori di livello molto alto e… insomma non si fa“.

Capito?

L’interprete assicura che l’attore ha capito.

Il giorno dopo, tutti lì a guardare come sarebbe andata la scena del pollo.

Uguale a quella del giorno prima, compresa l’estenuante passeggiata di avvicinamento, solo che al posto del pollo l’attore ha lanciato in platea un cocomero intero di 10 chili.

Non ha ammazzato nessuno, ma per pura fortuna.

Si torna tutti nell’ufficio del direttore tecnico.

Non si fa. Il cocomero intero (l’anguria) non si può lanciare in platea“.

No cocomero intero“.

È pericoloso. È vietato. Capito“?

“Capito”!

Giorno dopo.

Stesso avvicinamento, cocomero in braccio.

Lo lascia cadere per terra.

Raccoglie le due metà e ne tira una a destra e una a sinistra.

Ufficio del direttore tecnico con l’interprete.

Il cocomero non si tira in sala, nemmeno a pezzi, nemmeno a fette, nemmeno a pezzetti. Non si tira“.

Capito“?

Capito.

Giorno dopo… avvicinamento, cocomero sbattuto per terra, spaccato, poi la polpa morsicata e sputata (quindi non tirata) in platea con tutti i semi.

Insomma la finisco qui che ogni giorno ce n’era una nuova.

Fantastici.

Se vi capita di passare da qualche parte dove ci sono questi di Byakko Sha, non ve li perdete.

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