QUELLA VOLTA CHE FELA KUTI…

Fela Kuti, anche noto con lo pseudonimo The Black President è stato un musicista, cantante, compositore e attivista per i diritti umani nigeriano, inventore del genere musicale dell’afrobeat e considerato fra i più influenti artisti africani del XX secolo.

Ci fu una volta che venne in Italia, a Milano per un concerto al Festival dell’Unità.

Chi non conosce il personaggio, se vuole, vada a fare un giretto in rete e scoprirà un tipo interessante.

Quando venne chiamato in Italia, il musicista nigeriano, prima di arrivare lui con le sue circa 40 mogli ed altrettante suocere, spedì gli strumenti che sarebbero serviti per il concerto. Non li portarono con loro al seguito insomma.

Fra tutte quelle casse qualcuno, alla partenza, aveva infilato anche una settantina di chili di Marijuana.

Uso personale forse. Erano tanti.

Appena i doganieri italiani scoprirono tutta quella roba, comunicarono al musicista ancora in Nigeria, che qua non è consentito importare sostanze stupefacenti e che se fossero arrivati in Italia avrebbero tutti rischiato l’arresto.

La risposta del Black President fu che si trattava di un attacco politico e che lui non aveva paura di niente e di nessuno e che sarebbe comunque venuto per il concerto a Milano.

Così tutto il numeroso gruppo composto nella prima mandata da 40 persone fra musicisti e accompagnatori, arrivò all’aeroporto milanese.

Nessuno andò a ritirare i bagagli, così la Polizia Italiana non poté bloccare nessuno, ma ovviamente ritirò il passaporto di ogni componente del gruppo.

La direzione del Festival che li ospitava come richiesto da Kuti, li accompagnò in un ristorante per rifocillarli dopo il lungo viaggio.

Le 40 persone, dopo un’abbondante pasta al pomodoro, si mangiarono anche 240 bistecche. Una media di 6 a testa.

Integrarono con contorni, un po’ di formaggio, poca insalata, ma abbondante vino rosso italiano.

Poi, dopo il pranzo, il gruppo venne accompagnato in bus fino al palasport dove i musicisti si sarebbero dovuti esibire la sera stessa.

C’erano appoggiate lì da una parte, all’ingresso del palazzetto, delle cassette di belle mele gialle e verdi, offerte come gesto di cortesia dagli organizzatori dell’evento.

Si sono sbafati pure quelle, tutte, poi hanno cominciato a tirarsi i torsoli morsicati e a correre felici sulle gradinate destinate al pubblico e poi finalmente sono crollati addormentati.

Tutti insieme.

Mai sentito così tanta gente russare così forte. Un vero concerto pure quello.

Arrivò finalmente il momento delle prove.

Fela Kuti spiegava ad ognuno dei musicisti proprio come dovevano mettere le dita per ottenere l’accordo, ma tanto la star era solo lui.

Per suonare furono noleggiati strumenti visto che quelli fermi in aeroporto non si potevano ritirare senza essere arrestati.

Durante il concerto, le circa 40 mogli e gli altri accompagnatori, erano schierati a semicerchio sullo sfondo.

Non segnavano il tempo, non cantavano, non parlavano.

Immobili osservavano il pubblico che per la verità apprezzò molto l’esibizione.

Alla fine di tutto, bisognava trovare un modo per tornare in Nigeria, recuperando i passaporti.

Intanto Piazza del Duomo di Milano, per i giorni a seguire era popolata dalle mogli di Kuti che non sapevano dove andare.

Comunque poi si decise che una sola delle componenti del gruppo si prese la colpa dichiarando che tutto quella Marijuana era sua.

70 chili per uso personale.

Quindi lei, dopo la confessione, venne arrestata e tutti gli altri poterono ripartire, non prima di aver pagato la differenza fra il loro cachet e il costo di quella camionata di bistecche e pure quello del noleggio degli strumenti usati per lo spettacolo.

Quella volta Fela Kuti non ci guadagnò con questa spedizione italiana.

Peccato perché era un bravo musicista e poi aveva anche una famiglia molto ma molto numerosa.

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