LA MIA PRIMA TOURNÉE A MILANO

Fine anni ’70. Forse era il 1977. Anno vivace sul fronte delle rivendicazioni politiche di studenti e lavoratori.

Io in quel periodo ero iscritto all’Università, ma nel frattempo avevo trovato una scrittura come Direttore di Scena con una piccola compagnia umbra.

Veramente quelli cercavano un attore.

Mi sono presentato al provino dove si poteva portare un testo a piacere.

Io scelsi “La quercia del Tasso” un racconto di Achille Campanile.

Ero molto teso prima di interpretare quel pezzo dove confondersi è facile, ma fui fortunato.

Non mi ci fecero nemmeno provare.

Ascoltarono tutti gli altri, poi guardarono dalla mia parte e non sapendo cosa dirmi, mi proposero di fare il Direttore di scena dello spettacolo che sarebbe addirittura anche andato in tournée a Milano.

Accettai.

Allestimento a Trevi, nel Teatro Clitunno un bellissimo spazio. Non era ancora stato restaurato come è adesso, ma era un posto già molto gradevole.

Dell’allestimento non ho molti ricordi. Si vede che non è stato un granché.

Lo spettacolo era noioso il giusto e la regia veramente fiacca.

Una di quelle messe in scena che servono più a solleticare l’ego del regista, che quella volta era anche produttore, che per appassionare il pubblico.

Non fu colpa di nessuno in particolare, nemmeno del regista, ma l’operazione risultò un vero fiasco.

Comunque si andò in scena.

Ricordo gli sguardi degli spettatori all’uscita dalla prima rappresentazione a Trevi, che parevano chiedersi “… ma perché“?

Ce lo chiedevamo anche noi, ma il teatro è strano e magari quello che non piace a me, può essere una fenomenale prova artistica per qualcun altro.

Non fu così.

Andammo comunque a Milano al Teatro Verdi in via Pastrengo. Credo ci sia ancora.

Un teatrino piccolo, ma strasufficiente per ospitare il nostro spettacolo.

Chi ha girato un po’ per i palcoscenici, sa che sulle pareti dei camerini di tutti i teatri del mondo, sono appese le locandine degli spettacoli che quello spazio ha ospitato nel tempo.

A me non è più capitato di tornarci al Teatro Verdi, ma ho paura che dello spettacolo “Fix” di Nello Saito per la regia di Alfio Petrini, non ci sia traccia sui muri dei camerini.

Lo scenografo era Giancarlo Bignardi un grande artista e una splendida persona, che durante l’allestimento se ne andò a Parma per seguire la messa in scena di un altro suo spettacolo, credo al Teatro Regio di Parma e proprio lì davanti, fu investito e ucciso da un’auto mentre attraversava la strada.

Affidarono a me la realizzazione delle parti finali della scenografia, che Dio mi perdoni.

Per fortuna in locandina lo scenografo risultava lui e io non venivo citato nemmeno come suo aiutante così almeno quella responsabilità non fui costretto a prendermela.

Quello che riuscì bene della scenografia, realizzata nei vecchi laboratori di San Matteo a Spoleto, fu opera solo di Paola, la talentuosissima assistente dello scenografo.

Come alloggio, a Milano, eravamo ospitati, gratis, in un posto in via De Amicis, che di giorno era scuola di teatro e spazio per rappresentazioni, mentre di notte diventava dormitorio per noi.

Il proprietario – gestore di questo spazio, che si chiama Il Trebbo, era un amico del nostro regista.

Per quanto amico lui, conoscendo un po’ le qualità artistiche della nostra produzione, aveva schivato l’invito alla prima dello spettacolo, perché aveva “un altro impegno“.

Si chiamava Tony e me lo ricordo come un uomo sincero e gentile e forse non avrebbe retto alla domanda del suo amico: “… che ne pensi dello spettacolo“?

Comunque la prima rappresentazione milanese andò puntualmente in scena.

In sala per la prima, c’erano 14 spettatori. Applausi finali, quasi niente.

La seconda sera gli spettatori, forse si era sparsa la voce, erano diventati 3.

La terza sera nessuno.

Saremmo dovuti rimanere a Milano per un mese.

A noi bastarono 4 giorni per spicciare la pratica e per capire che era meglio tornarsene a casa.

Poi la mia carriera teatrale andò meglio, ma certo, se avessi dovuto decidere da quella prima esperienza, chissà quale altro lavoro avrei fatto.

Non certamente il teatrante come poi invece ho fatto con piacere e con passione e anche con qualche gratificante risultato, dovuto quasi sempre alla fortuna.

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