TUTTA COLPA DI MARGHERITA HACK

Ho sempre cambiato canale alla velocità del fulmine se capitavo sulla sigla di “Un posto al Sole“, capace di irritarmi come poche altre, melensa banale, per me insopportabile.

Per anni quindi non ho saputo niente della soap più longeva d’Italia e ho vissuto serena. Poi un bel giorno, o meglio una bella sera (la televisione a casa mia è sempre stato un elettrodomestico squisitamente notturno, di giorno si usa la radio, si ascolta musica oppure si sta in silenzio, a seconda delle necessità) girellando tra i canali mi trovo davanti a un palazzo che ben conosco perché lì, in una camera stamberga con soppalco sul golfo più bello del mondo, viveva un’amica cara scomparsa troppo presto, una regina dell’arte contemporanea: Anna Caputi.

Docente di storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e gallerista per un periodo, Anna era una donna di rara sapienza e simpatia e arguzia, pareva Maga Magò ed era sempre in mezzo ai giovani, ad artisti famosi e non, galleristi, insegnanti d’arte; storica curatrice della Biblioteca di Belle Arti di Napoli, oggi intitolata a lei, era una donna alla quale ero molto legata.

La foto, irrimediabilmente rovinata da un’alluvione (una perdita d’acqua in un appartamento due piani sopra di me che ha trasformato il soffitto della mia cucina in un’opera di Yayoi Kusama) ci ritrae sull’enorme ‘balcone’ davanti alla porta della sua casa, nella soap Palazzo Palladini, che nella vita reale si chiama Villa Volpicelli, durante una delle innumerevoli trasferte napoletane, dove ci
recavamo periodicamente, con gran felicità, grazie al nostro lavoro di editori di cataloghi di mostre e libri d’arte, a quei tempi Mazzotta (poi ci furono quelli Electa e infine i più belli del mondo, quelli Charta, la casa editrice che nel 1992 ho contribuito a fondare con Giuseppe Liverani per tanti anni compagno di lavoro e di vita), di tante mostre importanti promosse dalla Soprintendenza.

Quella struttura monumentale è a Posillipo, sotto c’è Giuseppone a Mare, un ristorante dove Anna ci portava che spero ci sia ancora e di ottima qualità come allora.

Penso spesso ad Anna, con affetto e un po’ di malinconia, perciò toccata dai ricordi mi sono fermata, seguendo distrattamente le vicende che si dipanavano sul teleschermo.

Successivamente ho guardato qualche altra puntata, una ogni tanto, tra le decine di aspetti delle storie che trovavo privi di interesse mi piaceva la vicenda di una piccola casa editrice musicale, mi identificavo, parzialmente certo, nelle ambasce di chi si trova a gestire una ditta e deve pagare gli stipendi a fine mese.

Passa un po’ di tempo e, sempre girellando tra i canali, mi imbatto un’altra donna che ho amato incondizionatamente e che, adesso che ci penso, somiglia vagamente ad Anna, Margherita Hack (qualche anno dopo realizzerò uno dei sogni della mia vita, non di conoscerla bene, magari! di stringerle la mano e ascoltarla con gratitudine parlare alle donne della sezione femminile del
carcere di Bollate dove facevo la volontaria nella redazione di CarteBollate), che si sta facendo intervistare da non ricordo più che rete e trasmissione.

Come stanno insieme Hack e Un posto al Sole che più distanti a me non potevano sembrare?
Certo… a pensarci dopo, anche solo il titolo, col mestiere che faceva… Semplice, l’astrofisica dichiara sorridendo che segue UPAS fin dalla prima puntata perché, portatrice di sani principi, la distrae e la rilassa.

Eh ma allora anch’io posso, penso, e comincio a seguirla, non so se mi piace davvero, la seguo sempre saltuariamente e a qualche personaggio mi affeziono. Poi scopro che pure un’amica carissima la segue dall’inizio e sa tutto, curiosa mi faccio raccontare alcuni risvolti per capire meglio trame per me tutte nuove; per un annetto ci diamo appuntamento la sera per vederla insieme, io da Trieste in poltrona e lei da Milano sul divano, commentando su WhatsApp, più male che bene.

Nel frattempo scopro che altre amiche, anche insospettabili, seguono con affetto la soap, la cosa mi sorprende e mi piace, in fondo mi sento meno sola, meno scema, quando ci troviamo di persona la guardiamo commentando, mi torna in mente il Festival di Sanremo a audio tv spento e sonoro di Radio Popolare, con la Gialappa’s che ci faceva sganasciare.

Per UPAS sono anni gloriosi, mi dicono gli aficionados, anni in cui per esempio a Poggioreale durante la trasmissione non vola una mosca.

Oggi non so più.
Dopo un annetto di questa strampalata abitudine ci stufiamo, rallentiamo, le storie non reggono, saltiamo le puntate, ogni tanto faccio delle incursioni sulla pagina di facebook e mi diverto a leggere i commenti.

Arriva il Covid che non tocca Un posto al Sole, aspettiamo puntata dopo puntata che faccia la sua apparizione ma niente, arrivo persino a scrivere alla produzione per trasmettere loro la perplessità che inquieta un po’ di affezionati: UPAS, col seguito che ha, potrebbe svolgere un ruolo importantissimo in questo frangente difficile.

Ma non c’è verso, aspettano che il Covid passi lavorando col più rigido protocollo antivirus ma in scena il Covid non andrà, mi dicono in sintesi.

Passa il tempo, il Covid allenta la presa e per noi la soap degenera, le storie fanno acqua da tutte le parti, pure prima ma adesso di più, ci sono incongruenze, errori marchiani di sceneggiatura, lungaggini insensate, pare che gli autori abbiano esaurito la vena creativa e se ne infischino della plausibilità, i buoni principi che avevano tenuto legata la mia astrofisica preferita sono andati a farsi friggere quasi completamente.

Abbandoniamo, le due tre puntate arretrate che ogni tanto vediamo su Raiplay confermano la deriva inarrestabile che ha ormai preso la soap. Raramente scrivo sulla pagina facebook che ce ne stiamo andando in tanti. Se persino Marco Damilano, in chiusura di qualche puntata de Il Cavallo e la Torre, trasmissione di attualità socio politica per un pubblico molto distante da quello di UPAS, lancia la lenza ai suoi spettatori dando appuntamento a poco dopo, significa che gli
ascolti sono in caduta libera, e mi meraviglierebbe il contrario.

E arriviamo all’aspetto più grave: i personaggi femminili sembrano ormai il parto di menti misogine, non c’è una donna accettabile, chi più chi meno incarnano tutte gli stereotipi peggiori, i più triti e retrivi: impiccione, pettegole, invadenti, false, bugiarde, sospettose, boccalone, lagnose, imbroglione, viziate… e chi più ne ha più ne metta.

Nemmeno i maschi di UPAS si salvano ma le donne sono peggio.

Recentemente a Milano, ospite di una delle due fans storiche di UPAS mie amiche, mentre ci accingevamo scoraggiate a sopportare l’ennesima puntata come fosse un impegno contrattuale, ho chiesto ma perché continuiamo a farlo?

Perché siamo irrimediabilmente ottimiste, ogni volta speriamo che migliori, ha risposto.

M piacerebbe sentire che ne pensa Margherita.

Silvia Palombi

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